Nasce il primo vaccino per le api, facciamo un po’ di chiarezza!

PrimeBEE è il primo vaccino studiato per le api mellifere. La notizia non ha lasciato indifferenti gli operatori del settore e neanche l’opinione pubblica, infatti è stata rimbalzata sulle pricipali testate internazionali. Come funziona? Ne beneficerà il settore? Se si, in che misura?

Partiamo dalle basi, cos’è un vaccino? Secondo il WHO si definisce vaccino un preparato biologico capace di incrementare la risposta immunitaria nei confronti di una deteterminata malattia. Semplificando enormemente: il sistema immunitario dell’individuo viene preparato all’incontro con un determinato patogeno (mediante somministrazione dello stesso preventivamente ucciso, di sue parti o di un altro patogeno con cui condivide alcuni tratti fondamentali per il riconoscimento immunitario) in modo tale che la risposta in caso di infezione sia poi rapida e che quindi l’instaurarsi della malattia sia scongiurato.

Grandioso! Quindi ogni essere vivente pluricellulare dotato di un sistema immunitario può essere vaccinato? Non esattamente. Esistono due tipi di immunità: una cosiddetta immunità innata, caratterizzata da una risposta ad ampio spettro, non specifica verso un determinato patogeno e una immunità acquisita che al contrario riconosce ed è diretta verso specifici aggressori, contro cui è in grado di reagire in maniera più efficace se già in precedenza ci ha avuto a che fare. Questa “memoria immunitaria” esibita in presenza di immunità acquisita è prerequisito fondamentale affinchè un vaccino funzioni. Gli insetti non hanno immunità acquisita, quindi niente vaccini per loro, fine della storia.

Non così in fretta. Da qualche anno è stata osservata la possibilità di effettuare in alcuni insetti il cosiddetto “immune priming” consistente nel somministrare una piccola dose di agente allo scopo di preparare l’individuo, a questo punto esso risulterà resistente ad una seconda somministrazione, sebbene in dose letale. Vi ricorda qualcosa? Ovviamente, ma a confondere le acque è stato il fatto che tale risposta potesse venire evocata anche da batteri non patogeni e conferisse successivamente protezione per quelli che invece patogeni lo sono. Nell’esperimento di Eleft et al., (2006), ad esempio, larve del lepidottero Manduca sexta sono state esposte ad un ceppo non patogeno di Escherichia coli e successivamente al batterio patogeno Photorhabdus luminescens. Ne è emerso che le larve esposte a E. coli dimostravano una sopravvivenza migliore a P. luminescens rispetto a quelle non esposte, sebbene questo non fosse il batterio usato per il priming. In tal caso verrebbe a mancare la condizione di specificità e quindi sarebbe improprio parlare di vaccino, al più si potrebbe discutere di una certa immunostimolazione generica. La situazione però è, come spesso accade in natura, assai complessa e sfaccettata. In risposta al lavoro sopracitato è infatti uscito quello di Sadd et al., (2006), in cui bombi venuti a contatto con un dato batterio (Pseudomonas fluorescens) sopravvivevano meglio ad una seconda infezione con questo rispetto all’infezione con altri batteri appartenenti allo stesso genere ma non alla stessa specie (Paenibacillus alvei e Paenibacillus larvae). Esiste quindi una certa specificità ma questa varia in base all’insetto studiato e al patogeno usato per la prova.

Ok tutto molto bello, ma questo potenziamento della capacità immunitaria si ottiene iniettando, insetto per insetto, singole dosi di “vaccino”. Con colonie di api da 50k individui la cosa è semplicemente improponibile. Qui entra in gioco un gruppo di scienziati dell’Università di Graz (Lopez et al., 2014) i quali dimostrano la possibilità di effettuare il priming in maniera indiretta, dalla regina alle operaie nate dalle sue uova. Come? Iniettando porzioni di P. larvae in alcune regine e andando poi a verificare la sensibiltà all’infezione nella loro prole allo stato larvale. Il risultato è di fondamentale importanza: le larve di regine inoculate hanno tassi di mortalità significativamente più bassi rispetto a quelle che non hanno subito il trattamento. Il fenomeno, detto Trans generational immune priming (TGIP) era già noto, ma non era mai stato evidenziato nelle api mellifere. Ma come avviene questo passaggio di immunità? A questo punto sulla scena compare la Dott.ssa Freitak, la ricercatrice a capo del gruppo che sta sviluppando il vaccino PrimeBEE di cui si parlava in apertura. È coautrice, infatti, del lavoro (Salmela et al., 2015) in cui viene elucidato come le componenti batteriche passino dall’intestino all’emocele (la cavità in cui è contenuta l’emolinfa dell’insetto) e da qui vengano legate dalla vitellogenina e captate dentro gli ovari per poi essere trasferite, mediante questa proteina, dentro alle uova da cui nascerà la successiva generazione. Sebbene la portata della scoperta sia estremamente ampia, la stessa Dr.ssa Freitak è piuttosto cauta, come ogni scienziato dovrebbe essere, e sottolinea che il vaccino è ancora in fase sperimentale. Il primo target del vaccino sarà proprio il P. larvae, agente eziologico della peste americana e patogeno modello utilizzato nel suo studio. Sarà possibile acquistare il vaccino in forma edibile, da somministrare alle proprie regine, oppure regine certificate come già vaccinate.

Dal punto di vista strettamente apistico, la scelta di questo target risulta poco rilevante, forse anche controproducente dal punto di vista educativo. La peste americana è una malattia che crea assai pochi problemi se si rispettano le buone pratiche e c’è il rischio concreto che una tale proposta commerciale incoraggi gli apicoltori ad un controllo sanitario meno stringente. Questo è vero se caliamo la proposta nella nostra realtà europea; più calzante invece il mercato americano, dove una tale apicoltura basata sul farmaco si è già consolidata e l’utilizzo di una profilassi vaccinale potrebbe soppiantare la ben meno virtuosa pratica della profilassi antibiotica.

A mio parere molto più interessante per gli allevatori potrebbe essere la possibilità di usufruire di profilassi per malattie di ben più difficile gestione, siano esse batteriche (peste europea) fungine (Nosema, Covata calcificata e pietrificata) o ancor più virali (DWV, ABPV, CBPV e molti altri). Interessante notare come in altri insetti l’eventualità di contrastare funghi e virus sia già stata esplorate e validata (si veda a tal proposito Garduño-Contreras et al., 2016).

Articolo a cura di Riccardo Cabbri.

Bibliografia

  1. Eleftherianos, I., Marokhazi, J., Millichap, P. J., Hodgkinson, A. J., Sriboonlert, A., & Reynolds, S. E. (2006). Prior infection of Manduca sexta with non-pathogenic Escherichia coli elicits immunity to pathogenic Photorhabdus luminescens: roles of immune-related proteins shown by RNA interference. Insect biochemistry and molecular biology, 36(6), 517-525.

  2. Garduño-Contreras, J., Lanz-mendoza, H., Franco, B., Nava, A., Pedraza-reyes, M., & Canales-Lazcano, J. (2016). Insect Immune priming: ecology and experimental evidence. Ecol Entomol.

  3. López, J. H., Schuehly, W., Crailsheim, K., & Riessberger-Gallé, U. (2014). Trans-generational immune priming in honeybees. Proc. R. Soc. B, 281(1785), 20140454.

  4. Sadd, B. M., & Schmid-Hempel, P. (2006). Insect immunity shows specificity in protection upon secondary pathogen exposure. Current Biology, 16(12), 1206-1210.

  5. Salmela, H., Amdam, G. V., & Freitak, D. (2015). Transfer of immunity from mother to offspring is mediated via egg-yolk protein vitellogenin. PLoS pathogens, 11(7), e1005015.

 

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